LE FORME DI PRODUZIONE SUCCESSIVE

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NELLA TEORIA MARXISTA . 1960 . 1980
arteideologia raccolta supplementi
made n.15 Maggio 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
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UN PO' DI DIALETTICA . CAPITOLO 1
Tutte le forme di produzione, più o meno legate alla natura, ma tutte al tempo stesso anche risultati del processo storico in cui la comunità presuppone i soggetti in unità aggettiva determinata con le loro condizioni di produzione, oppure una determinata esistenza soggettiva presuppone la comunità stessa come condizione di produzione, corrispondono necessariamente solo a uno sviluppo limitato, e limitato in linea di principio, delle forze produttive. LO SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE DISSOLVE QUESTE COMUNITÀ E LA LORO DISSO­LUZIONE STESSA È UNO SVILUPPO DELLE FORZE PRODUTTIVE UMANE.
(cfr. Marx, Grundrisse, capitolo sulle Forme che precedono la produzione capitalistica)

Nel capitolo – basilare per il nostro studio – dei Grundrisse sulle Forme che precedono la produzione capitalistica, Marx utilizza magistral­mente la dialettica che Engels così definisce: "Nella storia, come nella sua presentazione letteraria, l'evoluzione va in sostanza dai rapporti più semplici ai rapporti più complessi" [1]. Ma perché li si possa afferrare, "questi rapporti complessi" devono essere pienamente sviluppati. Solo una forma sociale superiore può infatti fornire la chiave di forme meno evolute, il cui movimento si è esaurito nella forma superiore dopo che esse hanno sviluppato tutte le loro potenzialità. Ne diviene in tal modo possibile la comprensione anche sul piano teorico. Il punto di partenza di Marx è perciò il capitale, il quale presuppone un processo storico che abbia dissolto le diverse forme di produzione in cui il lavoratore si presentava come proprietario.
Nel Capitale Marx parte tuttavia dall'indagine sulla merce, senz'altro perché la sua opera è finalmente un semilavorato, il primo gesto verso l'atto della trasformazione rivoluzionaria non ancora compiuta. Ciò non significa minimamente che la teoria del passaggio al socialismo non sia definitiva. Non parliamo qui che della materiale redazione dell'opera: è noto che Marx ha pubblicato solo il primo libro del Capitale. Ma pur esordendo con la merce che deve ancora evolvere verso il capitale, egli ha già percorso nei lavori preparatori tutto il ciclo capitalista, traendone "le leggi economiche di sviluppo", sicché il suo pensiero può nel corso della trattazione seguire il filo storico naturale dell'evoluzione.
 Il metodo è dunque squisitamente materialista poiché parte dalla realtà  empirica pienamente sviluppata che sola può fornire il filo, la sintesi. Quella  sintesi che servirà in seguito come punto di partenza per l'analisi del  particolare. Procederemo anche noi secondo questo modo.
Certo, la storia è disseminata di elementi impuri, confusi, ibridi, di quei cosiddetti fenomeni contingenti e irregolari che stanno in rapporto alla legge dello sviluppo come i diversi fatti quotidiani in rapporto alla storia. Ma, dice Engels, l'ideologia borghese è affetta letteralmente dalla malattia dell'indivi­dualismo e non può concepire il socialismo scientifico o ''marxismo" che come creazione di un individuo geniale – Marx. In realtà, "le concezioni teoriche del comunismo non poggiano assolutamente su idee e princìpi inventati o scoperti dal tale o talaltro riformatore del mondo. Esse non fanno che esprimere, in termini generali, le reali condizioni di una lotta di classe che esiste, di un movimento storico che si svolge sotto i nostri occhi" (Manifesto).
La grande opera teorica di Marx-Engels è niente affatto un risultato individuale, ma il prodotto dell'attività intellettuale di un'intera classe, l'elaborazione di quello che Marx chiamava "il cervello sociale", sintesi  intellettuale di tutta una scuola di pensiero formatasi nel corso di una lunga lotta e programma di un'intera fase storica. Questa concezione comprende il marxismo fin dal principio come la conclusione teorica della base materiale del movimento storico a livello del capitalismo in quanto lo salda al proletariato rivoluzionario, che ha il compito pratico di sovvertire i rapporti di classe esistenti dopo aver abbattuto il capitalismo perché dalle sue viscere si liberi una superiore forma di produzione e di società: il comunismo. Solo un "soggetto" di tale statura è in grado di compiere delle sintesi storiche.
Un commentatore russo del Capitale – citato dallo stesso Marx nel Poscritto alla seconda edizione – aveva compreso ciò perfettamente: "Per Marx una cosa sola è importante: trovare la legge dei fenomeni che egli indaga. E, per lui, è importante non solo la legge che li governa sotto la loro forma compiuta e nel loro rapporto osservabile in un determinato arco di tempo, ma soprattutto la legge del loro cambiamento, del loro sviluppo, cioè la legge del loro passaggio da una forma all'altra. Scoperta questa legge, egli ne esamina nei particolari le conseguenze che si manifestano nella vita sociale.
"Perciò l'obiettivo di Marx è uno solo: dimostrare con una indagine rigorosamente scientifica la necessità di determinati ordinamenti nell'evolu­zione dei rapporti sociali e, per quanto possibile, verificare i fatti che gli sono serviti da punto di partenza e di appoggio. A questo scopo, gli basta dimostrare contemporaneamente la necessità del presente ordine sociale e la necessità di un altro in cui è inevitabile che il primo trapassi, lo credano o no gli uomini, ne siano o no consapevoli".
Il Capitale di Marx non ha quindi lo scopo di spiegare il funzionamento del capitalismo, di cui è non la biologia ma la necrologia. Il capitalismo nella visione dialettica non è un punto di partenza né tanto meno di arrivo, ma solo una fase di transizione nella storia dell'umanità. Non si possono perciò afferrare le sue leggi se non se ne segue la genesi a partire dalle forme di produzione precapitalistiche, che sono alla base dell'intero testo dei Grundrisse. Nel corso della genesi storica del capitale se ne sono formate struttura e corpo e solo indagandone la preistoria se ne possono comprendere e gli elementi componenti e la dinamica.
Ma la cosa per noi più importante è che il corso stesso dei capitalismo indica che esso deve cedere il posto a una società superiore. E il compito rivoluzionario dell'instaurazione di una produzione comunitaria cosciente­mente diretta dai produttori associati, il socialismo, può adempiersi solo sulla base di una solida conoscenza teorica della dinamica della società di classe tendente alla propria abolizione. Bisogna per l'appunto determinare le leggi di sviluppo del capitalismo – la sua genesi come il suo processo di dissoluzione – perché sia possibile dirigere razionalmente il trapasso alla forma comunista di produzione e di società. È indispensabile perciò conoscere il meccanismo di tutti i periodi di transizione da una forma inferiore a quella superiore.
Poiché il socialismo non è semplicemente una produzione comunitaria di individui associati, bensì un'economia coscientemente e razionalmente gestita, la teoria della rivoluzione politica deve includere quella della rivoluzione economica, affinché le condizioni secondo cui sarà organizzata la forma socialista di produzione siano fin d'ora chiaramente stabilite nel programma del partito storico della classe proletaria.
Le febbrili discussioni svoltesi in Russia all'epoca della NEP dimostrano che l'instaurazione rivoluzionaria di rapporti di produzione socialisti è compito gigantesco e complesso quanto quello della rivoluzione politica per la conquista del potere. L'avanguardia dovette allora difendere i primi deboli accenni di un modo di produzione superiore contro la spietata legge del valore del capitalismo, che nella Russia arretrata aveva ancora un immenso terreno da conquistare e dunque una tendenza irreprimibile a svilupparsi. Contro quest'idra onnipresente i bolscevichi dovettero lottare con armi ancora praticamente derisorie, destreggiandosi tra le contraddizioni e pilotando per quanto possibile lo sviluppo economico, in attesa del trionfo della rivoluzione in uno dei grandi paesi di pieno capitalismo.
Insomma, per poter collocare al punto giusto la leva per la trasforma­zione dei nuovi rapporti di produzione, bisogna possedere in anticipo una visione penetrante e precisa dei meccanismi di sviluppo delle società in generale: rapporto tra il potere politico, di cui si dispone, e le condizioni di produzione, di cui si tratta di dominare il corso a partire dalla situazione e dai bisogni esistenti. Il problema consiste quindi nell'individuazione del centro di gravità, nell'industria e nell'agricoltura, delle branche capitalistiche e precapitalistiche, al fine di incanalare con determinate misure lo sviluppo di alcune di esse per farne avanzare altre: il processo di dissoluzione dei rapporti di classe sarà contemporaneamente la dinamica dell'instaurazione dei rapporti socialisti.
Una scienza che fosse individuale non potrebbe scoprire la fonte e lo sbocco dei fatti, la cui indagine è indispensabile all'opera colossale quale la trasformazione rivoluzionaria dell'attuale società. Occorre perciò la teoria di classe, il proletariato; Marx stesso ha qualificato il Capitale opera di partito [2]. Il cervello collettivo della classe rivoluzionaria contiene già quelle conclusioni che la ricerca scientifica, per la vastità del campo e la massa di materiale, può solo acquisire dopo decenni di studi [3]. È quindi ormai inutile chiedere a ciascun individuo di percorrere per sé tutto questo cammino: la solidarietà di classe si esprime anche nella fiducia dei suoi membri nella teoria impersonale, consegnata dal marxismo ai rivoluzionari di ieri, di oggi e di domani nel programma storico del partito di classe.
Nei suoi studi economici, Marx era già pervenuto alla conclusione deterministica che la produzione capitalistica reca nel suo grembo il germe della società comunista, il cui parto avverrà nel dolore: "Se nella società così com'è non trovassimo già nascoste le condizioni materiali di produzione e i rapporti di distribuzione della società senza classi, tutti i tentativi di farla saltare sarebbero donchisciotteschi".[4]
Queste conclusioni rivoluzionarie del metodo dialettico spiegano, agli occhi di Marx, il terrore dei borghesi di fronte all'inevitabile fine della loro forma di società e alla sua abolizione ad opera della società comunista.
"Nella sua forma mistificata, la dialettica divenne una moda in Germania perché sembrava glorificare le condizioni esistenti. Nella sua forma razionale, per le classi dirigenti e i loro corifei dottrinari, essa è scandalo ed abominio perché contemporaneamente alla comprensione di ciò che è dà anche la comprensione di ciò che nega la realtà esistente, la quale include in sé la necessaria rovina delle condizioni presenti; perché afferrando le cose nel flusso del movimento ne scorge il lato effimero; perché non si lascia impressionare da nulla, ed è per essenza critica e rivoluzionaria".[5]
E Marx prosegue: "Poiché una tale critica rappresenta una classe, può solo rappresentare quella classe la cui missione storica è il sovvertimento del modo di produzione capitalistico e l'abolizione di tutte le classi: il proletariato".
Insomma, il proletariato non crea solo gli oggetti materiali; nella produzione esso crea il plusvalore e dunque la sovraproduzione e le crisi, mentre nelle lotte politiche elabora gli elementi intellettuali della propria emancipazione attraverso una dura lotta teorica. Il "marxismo" non è che una sintesi al più alto livello di questa attività teorica di classe.
Solo il proletariato comunista, in quanto "classe della società borghese" che non appartiene alla società borghese, dal momento che è la dissoluzione di tutte le classi" [6], può fare la sintesi di tutte le società di classe successive, poiché rappresenta già la "decomposizione dell'attuale società". È il proletariato che ci permette di partire dall'unità superiore per discendere verso forme inferiori, meno sviluppate. La stessa società capitalistica, esasperando le contraddizioni, suscita ad uno dei suoi poli l'elemento della società superiore che dissolve i rapporti borghesi. Così la crescente socializza­zione della produzione entra in flagrante contraddizione col carattere privato dell'appropriazione e della distribuzione determinando gravi crisi che finiranno per provocare una rivoluzione politica vittoriosa.
Le contraddizioni immanenti in ciascuna forma, producono da un lato gli elementi della loro negazione e dissoluzione, dall'altro gli elementi della società superiore che ne prenderà il posto. Il filo del processo di sviluppo dovrà apparire molto chiaramente in questa successione dialettica. Non si tratta di sfoggiare conoscenze e fatti, ma di mostrare chiaramente il meccanismo della dinamica economica e sociale. Come abbiamo detto, in questa dinamica non si ha progressione, ma al contrario dissoluzione sempre maggiore dei rapporti economici e sociali che procede di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive. Ne costituisce un esempio la crescente divisione del lavoro. Ciò è inevitabile finché dura la preistoria dell'umanità (in altre parole finché continua e va sempre più a fondo l'alienazione umana), da cui si uscirà con un balzo rivoluzionario. L'originaria comunità, nata unitaria e collettiva, del comunismo primitivo si dissolve a misura che si sviluppano nella produzione e nella società i rapporti di classe, la proprietà privata, il denaro e la divisione del lavoro. Il capitale rappresenta il punto culminante dello sperpero e della decomposizione, ma nel suo seno si forma la base di una unità superiore: "La contraddizione tra il potere sociale generale a cui il capitale tende e il potere privato dei capitalisti individuali su queste condizioni sociali di produzione diviene sempre più stridente e implica la dissoluzione di questo rapporto e comprende nello stesso tempo la trasforma­zione di queste condizioni di produzione in condizioni di produzione sociale, universale e comunitaria".[7]

CAPITOLO  2
I RAPPORTI DELLA SOCIETÀ DEL COMUNISMO PRIMITIVO

La natura, presupposto dell'uomo

"Quali gli uomini escono alle origini dal regno animale – nel senso stretto del termine – tali fanno il loro ingresso nella storia: ancora mezzo animali, rozzi, indifesi contro le forze della natura, ancora ignari delle proprie; poveri come gli animali e appena più produttivi di essi" [8].
Il comunismo primitivo si è sviluppato con lo schiudersi umano dalla natura immediata, per cui i suoi rapporti sociali hanno assunto una forma naturale corrispondente. Donde l'estrema semplicità e trasparenza dei rapporti tra uomo e natura. L'UOMO non solo è strettamente legato all'ambiente naturale, ma è egli stesso parte della natura, alla quale appartiene con la sua carne, col suo sangue, col suo cervello. È egli stesso una forza naturale, un insieme di sostanze naturali trasformate in organismo umano (come vuole anche il libro della "Genesi").
Nel comunismo, in cui la produzione di valori d'uso è il fine economico, e la riproduzione dell'individuo fa tutt'uno con la riproduzione della comunità, l'appropriazione del presupposto naturale, la terra (come strumen­to originario di lavoro, insieme laboratorio e serbatoio di materie prime), non è il risultato ma il presupposto del lavoro. Si avrà la misura del tragitto percorso dall'umanità nella sua complessa evoluzione, osservando che oggi le condizioni preliminari della produzione determinanti il modo di accesso degli individui al processo di lavoro e, modellanti i loro rapporti sociali hanno cessato da tempo di essere naturali, per divenire meramente economiche e storiche. Il presupposto della produzione – il capitale – è ormai risultato del processo di produzione stesso (certo in forme alienate): "Una volta che il modo di produzione capitalista è saldamente instaurato, il grado in cui esso si è assoggettato le condizioni di produzione si manifesta nella trasformazione del capitale in proprietà immobiliare. Così il capitale fissa la sua sede nella terra stessa. Ormai, i saldi presupposti forniti dalla natura alla proprietà fondiaria derivano dalla sola industria" [9].
Nel comunismo primitivo l'individuo non si comporta nei riguardi delle condizioni oggettive del lavoro diversamente che nei confronti delle proprie condizioni (naturali) di esistenza: le une come le altre sono la sua natura inorganica. La prima condizione storica del lavoro non si presenta perciò come prodotto del lavoro, ma sotto forma del suo oggetto, la natura stessa. Abbiamo quindi, da una parte, l'individuo vivente – o meglio il blocco umano – e dall'altra la terra, condizione oggettiva della sua riproduzione. Non dobbiamo perciò considerare né l'uomo nella sua nudità di lavoratore o di forza lavoro, né i rapporti da lavoratore a lavoratore o da lavoratore a non-lavoratore (capitalista o proprietario fondiario, ecc.; bensì soltanto l'uomo e il suo lavoro da una parte, la natura e le sue materie dall'altra. Quindi anziché i rapporti tra lavoratore e non-lavoratore occorre considerare i rapporti dell'individuo in quanto membro della comunità naturale – ed è ciò che faremo nel capitolo seguente. Se li separiamo dal rapporto con la natura è solo per ragioni di metodo di esposizione, perché all'origine essi formano un tutt'uno. L'uomo, che si definisce attraverso il lavoro distinguendosi in ciò dall'animale, trova nella proprietà della terra [10] un modo di esistenza oggettivo, che non è il risultato, ma il presupposto della sua attività, allo stesso titolo della sua pelle e dei suoi organi di senso (e, se è vero che riproduce questi ultimi e li sviluppa nel processo vitale del lavoro in senso lato, essi restano nondimeno presupposti).
In origine, la proprietà (appropriazione) è MOBILE, poiché l'uomo si sposta e si impadronisce anzitutto (attraverso il lavoro di appropriazione diretta della raccolta, pesca e caccia, ecc.) dei prodotti finiti della terra, tra i quali figurano gli animali e particolarmente gli animali addomesticabili. Caccia, pesca e raccolta trovano naturale prolungamento nella custodia e nell'addomesticamento delle greggi che segnano il passaggio all'economia di riproduzione, pur implicando sempre la migrazione.
Alle tribù nomadi la terra, come tutti gli altri elementi naturali, si presenta illimitata (per esempio nelle steppe dell'Altopiano asiatico). Essa alimenta il bestiame, di cui a loro volta si nutrono i popoli pastori, sebbene, a questo stadio, essi non fissino mai l'oggetto della loro proprietà come proprietà privata. Questo rapporto originario si rinviene ad esempio nei territori di caccia degli Indiani d'America: la tribù considera una certa zona come sua riserva di caccia e in caso di necessità la difende con la forza contro altre tribù o cerca di allontanarle dal territorio che pretende di occupare. I rapporti del comunismo primitivo si limitano quindi all'interno di una data comunità, senza estendersi a tutta l'umanità o alle relazioni con le altre comunità, poiché ciascuna comunità vive più o meno isolatamente, in compartimenti stagni.
Nelle tribù nomadi di pastori la comunità è sempre una società migratrice, carovana, orda, e in essa le forme di dominio e di subordinazione si svilupperanno più tardi in funzione delle condizioni di vita e di lavoro. Ad essere appropriato e riprodotto è solo il gregge, non la terra, la quale viene utilizzata in comune temporaneamente ad ogni tappa [11].
All'inizio è sufficiente infatti considerare la proprietà originaria della terra, giacché presso i popoli pastori la proprietà dei prodotti naturali della terra – ad esempio i montoni – si confonde a lungo con la proprietà dei pascoli percorsi. Nella proprietà della terra è inclusa in generale quella dei suoi prodotti organici (p. 470).

Insomma, i prodotti organici non sono che semplici appendici della terra, parti costituenti della proprietà della terra, che è fonte di tutti i prodotti. La stessa proprietà non è affatto valore di scambio, ma semplice valore d'uso: solo attraverso la caccia una regione diviene territorio di caccia delle tribù; solo attraverso l'agricoltura la terra diviene il prolungamento del corpo dell'individuo (p. 473). 

La consanguineità, o comunità di sangue,
presupposto dell'uomo 

Questo secondo presupposto dell'uomo non è separato dal primo che per ragioni metodologiche di esposizione logica, poiché l'uomo fa ancora parte in modo del tutto naturale della comunità tribale che l'ha generato: mediante il rapporto di queste comunità con la terra come suo corpo inorganico sorge il rapporto dell'uomo con la terra come condizione primordiale esterna della produzione – poiché la terra è contemporaneamente materia prima, strumento e frutto, cioè, nel linguaggio moderno dell'econo­mia politica, è insieme oggetto del lavoro, mezzo di lavoro e prodotto (di lavoro).   L'appropriazione o la proprietà non è allora nient'altro che il comportamento nei confronti delle condizioni della produzione, di modo che si presuppone l'appartenenza a una comunità di sangue in cui l'individuo acquisisce una esistenza oggettivo-soggettiva.
Le condizioni primordiali della produzione si presentano all'uomo come premesse naturali, condizioni naturali di esistenza, come il suo corpo fisico, benché sia egli stesso a riprodurlo e svilupparlo [12]. Non sono poste da lui come condizioni di se stesso. Come dice Engels, l'uomo è allora completamente indifeso di fronte alla natura, per cui al livello sovrastrutturale – concetto peraltro non del tutto giustificato qui, giacché si è sviluppato solo con la società di classe – egli divinizza o feticizza queste potenze della natura superiori all'uomo.
Queste condizioni naturali di esistenza alle quali egli si riferisce dunque praticamente come al corpo che gli appartiene, hanno una duplice natura: soggettiva e oggettiva. Egli trova di fronte a sé una famiglia, una tribù, ecc., le quali poi, mescolandosi e opponendosi ad altre, assumono storicamente configurazioni diverse; e in quanto membro di una tale comunità, egli si riferisce a una determinata natura (terreno di caccia, di raccolta o di pascolo) come esistenza inorganica di sé stesso e condizione della sua produzione e riproduzione (p. 468). Egli si appropria una parte del prodotto collettivo in quanto membro della comunità – e non in quanto forza lavoro (pura merce o valore di scambio salariato del capitale).
In altri termini, per poter vivere e produrre, l'individuo deve appartene­re a una comunità naturale. Questa appartenenza è già la condizione del linguaggio, legame "intellettuale" o soggettivo e mezzo di comunicazione tra i componenti di una tribù o una confederazione di tribù. Un individuo isolato non potrebbe essere proprietario della terra così come non potrebbe parlare: è chiaro che egli si riferisce alla sua lingua come alla propria in quanto membro di una comunità umana. Una lingua come prodotto di un individuo è un assurdo; essa è tanto il prodotto di una comunità quanto è l'esistenza stessa della comunità, il suo modo di espressione verbale (p. 469). La lingua si sviluppa in seguito come una caratteristica essenziale della nazionalità, poiché è fin dall'inizio, più che una creazione dello "Spirito" o un semplice mezzo di comunicazione intellettuale, un RAPPORTO o MEZZO DI PRODUZIONE.[13]
È quanto risulta chiaramente dalla genesi del linguaggio. Come tutti gli animali, gli uomini cominciano col mangiare, bere, ecc., ma già attraverso queste attività essi entrano in un rapporto determinato con la natura: sono attivi, dunque lavorano; si appropriano alcuni oggetti del mondo esterno soddisfacendo in tal modo i loro bisogni — in altri termini, essi cominciano a produrre. Ripetendosi, questo processo è trattenuto nel cervello, dal momento che ora l'uomo sa che quel dato oggetto soddisfa quel dato bisogno "umano".
Gli uomini apprendono così, a partire dal livello ancora quasi "animale" (termine per noi tutt'altro che dispiacevole), a distinguere "teoricamente" [14] tra prodotti utili e prodotti nocivi. A un dato grado di sviluppo, quando i bisogni e l'azione dell'uomo sulla natura si sono moltiplicati, egli designa con parole classi intere di oggetti che ha distinto – e dunque caratterizzato – basandosi sull'esperienza storica acquisita mediante la relazione con gli oggetti del mondo esterno. Questo processo si compie necessariamente, perché nel processo di produzione, che equivale a questo stadio al processo di appropriazione degli oggetti, gli uomini entrano in rapporti stabili di lavoro in seno alla loro comunità e, attraverso essa, con oggetti determinati. Ben presto, nella ricerca di questi oggetti, entreranno anche in conflitto con altre comunità. La qualificazione di questi oggetti con parole – attraverso il linguaggio – non è infatti nient'altro che la rappresentazione concettuale di quanto una attività ripetuta fa o cambia, la rappresentazione di certi oggetti esterni servendo al soddisfacimento dei bisogni degli uomini, i quali hanno perciò allacciato determinati rapporti sociali, naturali nella società del comuni­smo primitivo. In questo senso, il linguaggio è una forza produttiva essenziale, come la comunità stessa, di cui è il modo di espressione intellettuale.
Donde la sintesi di Marx: La comunità tribale naturale, o, se si vuole, l'orda (comunità di sangue, di lingua, di costumi, ecc.), è il primo presupposto dell'appropriazione delle condizioni oggettive di esistenza e dell'attività ripro­duttiva e oggettiva (attività di pastori, cacciatori, coltivatori, ecc.) (p. 452). La comunità tribale si presenta così non come il risultato, ma come il PRE­SUPPOSTO dell'appropriazione e dello sfruttamento in comune del suolo, che sono dapprima temporanei, finché gli uomini non si stabiliscono in un punto del globo per vivere della riproduzione dei vegetali (agricoltura) – ciò che presuppone un livello assai più alto delle forze produttive e della tecnica. In una poderosa sintesi dell'arco storico percorso dall'umanità, Marx spiega   che   il  capitale   si   sottomette  alla  fine tutte le condizioni della produzione, creando anche le sovrastrutture politiche e ideologiche. Sarà possibile solo sulla base di tali rapporti, prodotti ancora sotto l'imperio della necessità dagli stessi uomini, di instaurare una società in cui l'uomo dominerà la natura e creerà lui stesso, secondo i propri bisogni, i rapporti con gli altri uomini e con la natura. In questo senso, il capitalismo è la base (alienata) del socialismo, in quanto produzione dell'uomo e non prodotto della natura: i presupposti  che appaiono in origine (alla nascita del capitale) come le condizioni del divenire capitalistico – e perciò non potevano ancora risultare dall'azione  del capitale in quanto tale –, in seguito si presentano come risultati della sua propria realizzazione, come una realtà creata da lui stesso. Non sono più le condizioni della sua genesi, ma il risultato della sua esistenza presente (p. 437). Quando la tribù infine si fissa, la stessa comunità primitiva subirà modificazioni più o meno profonde a seconda delle condizioni ambientali (clima, situazione geografica, costituzione del suolo, ecc.) e delle sue attitudini naturali, come la razza (p. 452). Decisiva è ancora sempre la natura. Nell'Origine della famiglia [15] Engels spiega che, contrariamente a quanto avviene allorché gli strumenti e le macchine si sono sviluppati, la combinazio­ne dei fattori naturali ambientali e produttivi stimolò lo sviluppo di attitudini razziali agli albori del divenire umano, quando il corpo dell'uomo e le sue caratteristiche biologiche erano ancora importanti fattori di produzione. È all'attività pastorale, dice Engels, cioè, all'abbondanza della carne e del latte nell'alimentazione degli Ariani e dei Semiti – e particolarmente al loro effetto favorevole sullo sviluppo dei bambini – che si deve lo sviluppo superiore di queste due razze.
Nel comunismo primitivo, la produzione include ancora direttamente la riproduzione la quale è innanzi tutto biologica. Infatti l'uomo produce e riproduce soprattutto se stesso. L'aumento della popolazione (parte integran­te della produzione) rappresenta l'elemento-base della società. Di qui l'importanza dei legami consanguinei che rappresentano i rapporti sociali fondamentali. L'unità originaria tra la comunità e la proprietà sulla natura ambiente (o rapporto con le condizioni oggettive della produzione come dato naturale) determina i rapporti del modo di produzione del comunismo primitivo. La comunità stessa rappresenta la prima grande forza produttiva; secondo i determinati tipi delle condizioni di produzione (ad esempio allevamento del bestiame, agricoltura) si sviluppano un modo specifico di produzione e particolari forze produttive, sia oggettive che soggettive (facoltà degli individui) (p. 475).
In questo stadio, contrariamente a ciò che avverrà nel comunismo superiore, in cui tutti gli uomini saranno compresi in una sola e identica società, l'umanità è spezzettata in tante piccole comunità (orde, clan, tribù, confederazioni di tribù) autonome. Questa ristrettezza delle società comuni­ste primitive è legata a cause naturali: la popolazione è scarsa e la terra poco popolata. Le tribù sono separate da ostacoli naturali: montagne, deserti, corsi d'acqua, fasce boschive o, come in seguito le chiameranno i Germani, foreste di protezione. Gli stessi urti fra gruppi umani, come abbiamo visto, hanno cause naturali, quale può essere ad esempio un'improvvisa pressione demogra­fica, dato che la bassa produttività o l'unilaterale produzione non sono in grado di far fronte ad un accrescimento troppo grande della popolazione.
Uno dei mezzi per sviluppare superiori forze produttive – tra cui ' l'aumento della popolazione – è la connessione di più comunità naturali, di modo che individui più numerosi possano, cooperando nel lavoro, opporre alla natura una maggior forza di resistenza e sviluppare produzioni più differenziate. Tale volontaria unione consentì di evitare la dissoluzione e la distruzione delle comunità vinte in guerra.
Ovunque era possibile, le piccole comunità estendevano ad altre comunità i loro rapporti interni, sulla base della comunità razziale più o meno grande. Lo sviluppo dell'orda primitiva evolve verso la formazione di "famiglie" più grandi: la famiglia allargata al clan e alla tribù, la combinazione di tribù attraverso matrimoni reciproci, la confederazione di tribù. Tra le orde viventi di caccia o di raccolta si manifestò molto presto, fin dall'inizio dell'età paleolitica, la tendenza ad allacciare relazioni di vicinanza più o meno durature: di amicizia o di associazione per intraprendere determinati compiti, quali la caccia contro la grossa selvaggina o la resistenza agli invasori. Questi legami erano tanto più saldi in quanto basati su una consaguineità più o meno stretta. Un ruolo fondamentale in queste alleanze che svilupparono i gruppi umani l'ebbe l'esogamia, ossia il divieto di prendere come consorte sessuale un membro che non fosse di un gruppo umano esterno: nessun membro ha il diritto di sposarsi nell'ambito della gens. È questa la regola fondamentale della gens, il legame che la mantiene unita; essa è l'espressione negativa della molto positiva parentela consanguinea che sola fa che gli individui inglobati divengano una comunità gentilizia.[16].
Il divieto di accoppiarsi all'interno della propria comunità contribuì dunque a formare unità sociali più grandi. Occorre notare a questo punto la distinzione tra clan o gens primitiva dall'ulteriore gens patriarcale che fu una suddivisione della tribù e del popolo del mondo antico.
Il clan è sempre esogamo. Esso testimonia che i vincoli di parentela contribuirono a consolidare i legami sia all'interno che all'esterno dei raggruppamenti umani. La parentela era in origine determinata – né poteva essere diversamente nel sistema dell'esogamia – per linea materna. Siccome la comunità di sangue era il solo presupposto fondamentale della produzione, si attribuì alle donne, che hanno una funzione essenziale nella riproduzione umana, il primo posto nel comunismo primitivo, il cui rapporto sociale fu dunque quello del matriarcato. Il clan formava una unità di produzione basata sulla parentela e caratterizzata dall'aiuto reciproco che tutti i suoi membri si prestavano. Esso contava mediamente 100-150 individui, ma poteva arrivare ad abbracciarne parecchie centinaia.
La tribù si costituì per l'associazione di due clan amici o imparentati. Ogni clan formava dunque la metà di una tribù (fratria, moiety).
Le due parti rimanevano esogame. Il processo era identico nel caso di associazione di più clan. Poiché naturalmente la popolazione aumentava nel processo di riproduzione umana all'interno del clan e della tribù, nuovi gruppi si staccavano di tanto in tanto dall'antica comunità formando nuove tribù, le quali si stabilivano altrove per costituirvi una nuova unità di produzione. Il consiglio della tribù, formato dai rappresentanti o capi delle tribù, regolava, nelle assemblee, la sorte delle tribù e soprattutto i loro rapporti reciproci.
Il più alto processo di integrazione a cui il comunismo primitivo poté condurre lo sviluppo sociale fu la formazione di popoli che servirono di base alle nazionalità ulteriori. Tuttavia questo processo non poteva non allentare i legami angusti, ma sicuri e stabili, della consanguineità di parentela. Crescente importanza acquistarono allora i fattori della comunità di lingua e di costume. Le nazionalità non prenderanno forma che molto più tardi e si dissolveranno nello Stato-nazione al momento della rivoluzione politica borghese.
Ma la base delle nazionalità fu un'eredità trasmessa all'umanità dal comunismo primitivo al suo apogeo di sviluppo. Furono i Germani che, in Europa, dopo i quattro secoli di decadenza dell'Impero romano, salvarono i germi di questa evoluzione futura: per quanto questi 400 anni appaiano improduttivi, tuttavia essi lasciarono un prodotto importante: le nazionalità moderne, ossia la nuova organizzazione e struttura dell'Europa occidentale per la storia futura [17]. Di più: se per lo meno in tre dei principali paesi – Germania, Francia del Nord e Inghilterra –, essi salvarono un elemento della genuina costituzione gentilizia, sotto forma della comunità della marca-trasformandola nello Stato feudale, e se in tal via diedero alla classe oppressa, ai contadini, pur sotto la più crudele servitù medioevale, una coesione locale e uno strumento di resistenza che né gli schiavi antichi né i proletari moderni hanno avuto a portata di mano, a cosa si deve ciò, se non alla loro barbarie, al loro sistema esclusivamente barbarico di colonizzazione su base gentilizia?
Quando nuove tribù o nuovi popoli stabilivano altrove la loro sede, la comunità, trovando nuove condizioni ambientali, adottava spesso nuovi metodi e persino nuove tecniche di produzione, basate sull'economia di riproduzione degli animali e delle piante, cioè l'agricoltura. Si sviluppava allora una base nuova, non più esclusivamente determinata dai naturali vincoli di razza e di sangue – dalla "famiglia". Gli storici constatano questa evoluzione nel cambiamento del nome delle tribù, dato ormai dal luogo in cui esse vivono. Le tribù degli antichi stati sono infatti organizzate in due modi: su base gentilizia o su base territoriale, le prime più antiche delle seconde che finiscono col soppiantarle quasi dappertutto. La loro forma più rigida è il sistema delle caste, in cui ogni casta è divisa dall'altra, senza reciprocità di matrimonio e secondo una gerarchia molto accentuata; ciascuna esercita un me­stiere esclusivo e immutabile. L'organizzazione territoriale delle tribù si trasmet­teva originariamente sulla distribuzione del paese in distretti e villaggi (p. 459).
L'evoluzione, come si vede, passa impercettibilmente dalla forma di produzione inferiore alla seguente, cosa senz'altro imbarazzante per chi vuole fissarla in una definizione o categoria. Il marxismo segue semplicemente nella maniera più adeguata la dinamica dei modi successivi di produzione e di società – e quanto a noi interessa è che la teorizzazione rifletta esattamente il movimento della vita.
Ma restiamo nell'ambito del comunismo primitivo: il passaggio al sedentarismo riveste enorme importanza per la comprensione della genesi della produzione nel senso più stretto, quasi economico, del termine. All'origine la terra forniva e determinava l'oggetto di lavoro, la materia prima il mezzo di lavoro, ed entrambi contribuivano, combinati al lavoro umano, alla creazione del prodotto del lavoro. Va sottolineato che la parentela naturale determinava soprattutto i rapporti di distribuzione e di produzione. Saranno in seguito le condizioni ambientali ad operare quel passaggio fondamentale per cui i mezzi di produzione determineranno in maniera diretta i rapporti sociali.
Lo sviluppo degli elementi costitutivi del processo di produzione corrisponde a una crescita delle forze produttive e mina dunque dapprima i rapporti sociali esistenti per poi rivoluzionarli e creare infine una forma di produzione superiore. Ma, prima di considerarne i risultati, analizziamo ancora l'evoluzione nell'ambito dei rapporti sociali del comunismo primitivo.
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[1] Cf. Fr. Engels, Per la critica dell'economia politica di K. Marx (Recensione).
[2] Evocando i suoi studi economici dei Grundrisse e del Capitale, Marx scriveva a Lassalle il 12.11.1858: "Questi lavori difendono per la prima volta una concezione fondamentale dei rapporti sociali da un punto di vista scientifico. È dunque mio dovere di fronte al Partito che la cosa non venga guastata da quella maniera di scrivere pesante e legnosa che è tipica di un fegato malato".
[3] Cf. Fr. Engels a K. Katitsky, 18.9.1883.
[4] Cf. Marx, Grundrisse, Torino 1976, Il capitolo del denaro, p. 91.
[5] Cf. Marx, Poscritto alla seconda edizione tedesca del Capitale I.
[6] Cf. Marx, Introduzione a Per la critica della filosofia del Diritto di Hegel, 1844.
[7] Cf. Marx, Grundrisse, cit., Introduzione. Il metodo dell'economia politica, p. 32.
[8] Cf. Marx, Il Capitale III, sez. III, cap. 15,  Sviluppo delle contraddizioni intrinseche della legge.
[9] Cf. Engels, Anti-Dühring, IV, Teoria della violenza (fine).
[10] Cf. Marx, Grundrisse, Capitolo del Capitale, quaderno VII, Ed. Einaudi Torino 1976, p. 759.
[11] Marx non utilizza qui il termine proprietà in senso strettamente giuridico, ma nel senso generale di appropriazione della natura da parte dell'uomo sulla base e per mezzo di una forma sociale determinata. Sarebbe ridicolo partire da questa proprietà (appropria­zione) collettiva per presentare la proprietà privata come qualcosa di eterno. Sotto il termine di proprietà bisogna intendere qui un rapporto determinato di produzione, un modo di accesso al processo di lavoro e alla vita sociale, e non un diritto sulle cose e sugli uomini. Poiché l'essenziale è l'economia e non il titolo giuridico, il marxismo parte sempre dai rapporti di produzione e non dalle definizioni formali della sovrastruttura giuridica e politica.
[12] Cf. Marx, Grundrisse, Ed. cit, p. 471.
Poiché moltissimi passi del testo sono tratti dal capitolo dei Grundrisse: Forme che precedono la produzione capitalistica, per non moltiplicare le note e per non spezzare il filo dell'esposizione, abbiamo tolto le virgolette e indicato alla fine dei brani semplicemente il numero della pagina dell'edizione italiana citata. Abbiamo sempre confrontato la traduzione italiana dei brani di Marx-Engels con l'originale tedesco per migliorarne il contenuto nel senso di una chiarezza sempre maggiore. Nondimeno rinviamo il lettore alle edizioni italiane esistenti per approfondire gli argomenti trattati.
[13] Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx precisa la sua concezione che fa di lui il portavoce della classe del lavoro: "L'educazione, cioè la formazione dei cinque sensi dell'uomo, è il lavoro di tutta la storia universale fino a oggi" (III mano­scritto, Proprietà privata e comunismo).
[14] I fattori di produzione, quali la lingua, la famiglia consanguinea (orda, tribù, federazione di tribù, nazionalità), ecc. si distaccano via via dalla base economica per diventare dei rapporti politici (ad esempio la nazionalità che evolve in nazione-Stato all'epoca della rivoluzione borghese che compie l'unità nazionale) o ideologici (ad esempio la nozione di razza che diviene sempre più sovrastrutturale con il razzismo, o l'antisemitismo) con il mescolarsi delle razze e la preponderanza dei fattori "economici" e politici.
Cf. in Il Programma Comunista n. 16-20/1953, Fattori di razza e nazione nella teoria marxista, dove si troverà una brillante critica della concezione stalinista della lingua eretta in sovrastruttura sclerotizzata "eterna" di un popolo ... per giustificare il mantenimento della lingua russa della società di classe nella pretesa socialista Russia. Infatti, la lingua evolve e si trasforma a ogni nuovo modo di produzione, per cui si può affermare che con un modo universale di scambio e produzione, il comunismo creerà un'unica lingua, ricca di tutta l'evoluzione umana, il che nulla ha a che vedere con l'"utopistico" esperanto.
[15] Fin dall'inizio l'uomo ha, secondo l'espressione di Marx, una esistenza insieme "oggettivo-soggettiva", ossia una attività contemporaneamente pratica e intellettuale, di cui si trova anche un inizio più o meno sviluppato tra alcuni animali. Solo con lo sviluppo delle società di classe, in cui le attività e i godimenti "superiori" o nobili sono appropriati da una classe dominante ("elite"), si opererà la distinzione tra attività fisica e intellettuale e nasceranno dunque le filosofie mistificatrici che oppongono lo spirito alla materia, il corpo all'anima, l'essenza all'esistenza. Nel comunismo superiore, l'uomo ritroverà il legame tra lavoro manuale e intellettuale, teoria e prassi, con l'abolizione della divisione del lavoro che origina non solo le diverse attività professionali "nobili" o "vili", ma anche l'opposizione tra classi e quindi le contraddizioni ideologiche.
[16] In questo lavoro, effettuato sulla base dell'opera di Morgan, La società antica, Engels ha stabilito nelle prime pagine uno schema descrittivo delle fasi dell'evoluzione dell'umanità, classificata secondo i prodotti creati in ciascun stadio: età della pietra, del bronzo, ecc. Ciò che distingue la successione delle forme di società in Marx, è la dinamica dei rapporti sociali che si sviluppano nella produzione e determinano a ciascun stadio sia le strutture e i legami degli uomini tra di loro e con la natura che i loro propri prodotti o    strumenti. Nell'Ideologia tedesca troviamo un primo schema fondato sulla forma (comunista, schiavista, feudale, capitalista, ecc.) dei rapporti sociali. Lo stesso schema si ritrova con qualche ritocco nella Miseria della Filosofia e nel Manifesto. Engels evoca infine a più riprese il problema della successione delle Forme di produzione nel suo Anti-Dühring. Questo schema sottintende, come abbiamo detto, tutta l'opera di Marx-Engels, segnatamente l'economia.
[17] Cf. Engels, cap. 11, La famiglia, in l'Origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato (titolo che già esprime una chiara progressione delle strutture sociali).


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